IN NOME DEL PADRE
Con 600 pagine di sentenza la Corte di Assise di Reggio Emilia ha esposto le motivazioni della condanna all’ ergastolo dei genitori di Saman Abbas (il padre già estradato in Italia e la madre tranquillamente al sicuro in Pakistan). Motivazioni emerse dall’ “istruttoria e dalla dialettica processuale, le uniche deputate a farlo”, come dichiarato dai giudici della Corte di Assise, come a dire: non sappiamo quale sia la verità storica, ma sappiamo perfettamente quale sia la verità processuale. Le sentenze si rispettano, ma possono essere commentate e mi appresto pertanto ad evidenziare tre punti critici su cui a mio parere si fondano le motivazioni.
In disparte la tagliola a cui sono state sottoposte numerose associazioni che avevano chiesto di costituirsi parte civile nel processo, non ammesse in base al discutibile principio di territorialità, la prima verità processuale che emerge dalla sentenza è che Saman Abbas sarebbe stata uccisa non perchè si opponeva al matrimonio combinato, ma perchè progettava di fuggire con il fidanzato e vivere all’ occidentale. Come se voler vivere una relazione libera con un fidanzato liberamente scelto non implichi la naturale opposizione a qualunque tipo di matrimonio islamico combinato. In secondo luogo, colpisce la mancata applicazione dell’ aggravante della premeditazione: i genitori avrebbero deciso di uccidere la figlia la sera stessa dell’ omicidio, per non subire l’ onta insopportabile della fuga da casa della ragazza, che ricordiamo viveva in una comunità, e dato che erano in partenza per il Pakistan, viaggio ovviamente non premeditato, non potevano aspettare oltre. E poi dulcis in fundo, il vero colpo di scena della sentenza, è che “potrebbe” essere stata la madre l’ esecutrice materiale del delitto, avviandosi con la figlia sulla carraia per circa un minuto, “per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’ esecutrice materiale”.
Ecco. Il patriarcato islamico è servito. Il patriarcato islamico non esiste. Tra poche luci e tantissime ombre, dobbiamo accontentarci della verità processuale. In attesa che un giorno, chissà, venga accertata la verità storica.